Abruzzo, Pescasseroli, agosto 1973

Ogni tanto, specialmente di notte, li senti guaire e ululare, ma non li vedete mai. In albergo vi dicono che sono animali molto schivi e che non amano la presenza degli uomini.
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Ogni tanto, specialmente di notte, li senti guaire e ululare, ma non li vedete mai. In albergo vi dicono che sono animali molto schivi e che non amano la presenza degli uomini.
Lasciata la macchina, vi avviate verso casa a piedi, lungo le fondamenta sul Canal Grande. Lo scirocco tira forte, a raffiche, umido e salso entra nel naso, si insinua sotto i vestiti e ti fa lacrimare gli occhi. Sotto le vostre scarpe il cic ciac delle suole di gomma: sta salendo la marea.
Senti tamburi che si avvicinavano e da un angolo sbuca un corteo di persone in vesti medievali.
«Bianco e rosso, Giraffa!» dice tuo padre. Vi accostate alle pietre del muro per far passare la processione.
I tram sui binari: il brontolio che sale fino alle soffitte di Via Cernaia. Nel crescendo sferragliante ti sporgi a osservare le facciate, a spiare una scena domestica di mezza sera.
Torino è anche questo passaggio di nastri arancioni con le antenne.
«Scordatelo».
«Ma dai amore! Di là poi è meraviglioso,» dici tu.
Laura è ferma all’ingresso del ponte che unisce il parcheggio alla “città che muore”, un paesino di sette abitanti seduto in cima a un calanco argilloso. Le erosioni che hanno formato questa altura continuano ancora oggi.
Dopo un paio d’ore il motore comincia a perdere colpi.
«Cosa c’è?» domanda tua madre.
Tuo padre non risponde.
Vedete i mosaici della Villa Romana con le famose ginnaste in bikini e pranzate con granite, cannoli e cassate; tornate al parcheggio e vi trovate di fronte a una dozzina di cani che si muovono rabbiosi in mezzo alle macchine in sosta.